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Uno degli aspetti più sorprendenti della guerra del Vietnam, dal punto di vista militare, è che per quanto riguarda la logistica e la tattica gli USA sono riusciti a fare tutto ciò che si erano prefissati. Al culmine della guerra, l’esercito statunitense era in grado di «turnare» quasi un milione di soldati all’anno dentro e fuori dal Vietnam, nutrirli, vestirli, alloggiarli, rifornirli di armi e munizioni e, in generale, sostenerli meglio di quanto qualsiasi altro avesse mai fatto sul campo da un punto di vista logistico. Spostare e rifornire un esercito di quelle dimensioni dall’altra parte del mondo era una sfida logistica e gestionale di enorme portata, e gli Stati Uniti erano stati più che all’altezza del compito. Sul campo di battaglia poi le forze armate statunitensi erano imbattibili. In un combattimento dopo l’altro, le forze dei Viet Cong e dell’esercito nordvietnamita furono respinte con terribili perdite. Eppure, alla fine, fu il Vietnam del Nord, non gli Stati Uniti, a uscire vittorioso. Come poterono gli USA avere un simile successo e al contempo fallire così miseramente?
«Nel 1965 il Vietnam sembrava una guerra straniera come tante, ma non lo era. Era diverso sotto molti aspetti, così come lo erano le persone che combattevano. Nella Seconda guerra mondiale l’età media del soldato combattente era di 26 anni. In Vietnam ne aveva 19 […]. In Vietnam il soldato combattente era solito prestare un turno di servizio di dodici mesi ma era esposto al fuoco nemico quasi ogni giorno.»
Davide F. Jabes, storico militare, ha conseguito il PhD all’Università di York (UK). Ha lavorato come consulente e ricercatore in Storia moderna per l’Università di Siena e altri istituti di ricerca. Inoltre, ha curato diversi saggi di argomento bellico, in particolare sulla Seconda guerra mondiale. Recentemente ha scritto Il Leader, una biografia di Adolf Hitler.