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Apollinaire definì il marchese de Sade “l’uomo più libero che sia mai esistito”. Figura sulfurea nel suo ateismo totale e prototipo del libertino settecentesco, teorizzatore dell’eccesso e manifesto vivente della celebrazione assoluta della jouissance, egli trascorse la vita passando da un processo all’altro, dalle prigioni ai manicomi. Nell’irriducibile confusione dell’esistenza vissuta e di quella immaginata attraverso le sue opere, de Sade fu uomo del suo tempo e del suo ceto, dei cui vizi rappresentò una summa. Costituì, tuttavia, anche un unicum, finendo per incarnare al contempo il capro espiatorio perfetto per il moralismo dei poteri di ogni segno e tempo e il vessillo di tutte le rivendicazioni di libertà individuale contro l’oppressione dell’etica dominante. I processi che subì restituiscono un’immagine fedele di tale complessità.